venerdì 5 giugno 2009

Post 5 – Visita alle solfatare. (Gastone Vuillier 1895)

Dalla singolare vallata vien su un acre vapore sulfureo che stringe la gola, e la nudità delle coste brulle si estende a perdita di vista.
Il proprietario d' una miniera di zolfo, che ci ricevé, e l'ingegnere che era con me, avvezzi da tanti anni a vedere delle solfatare, restavano indifferenti; essi le considerano ognuno sotto un proprio punto di vista: per l'ingegnere sono un caso geologico, importante, per l'altro una sorgente di ricchezza; ma per me era un'altra cosa. Benché conoscessi la miniera nera del nord, pure quel lugubre deserto dalle tinte smorte che mi appariva per la prima volta, mi faceva spavento.
Il proprietario ci fece gli onori della sua miniera pregandoci di fermarci dinanzi una macchina che dalle profondità della terra porta alla superficie del suolo i grandi pezzi di zolfo. A me peraltro premeva poco di vedere una macchina, che qui è una cosa eccezionale; io volevo vedere la vera solfatara, nella quale ci si penetra per una scala ripida e scabrosa, ove dei disgraziati, carichi di enormi pesi, salgono e scendono continuamente.
Adagio adagio eravamo giunti, nella profondità dell'immensa cerchia, davanti all'entrata d'una miniera parata da un piccolo fabbricato.


La galleria principiava a discendere, fin dalla soglia per scomparirne nelle tenebre.
Mi chinai su quella nera gola spalancata e l'ingegnere mi disse:” Ascoltate, non sentite?...
Prestai bene l'orecchio e mi parve che da quell'abisso venissero fuori confusi lamenti; poi vidi vacillare in fondo qualche luccicare, che metteva in quelle ombre delle punteggiature di un chiarore pallido assai; poi quei luccicori si spensero. Poi mi si disse d'osservare ancora, e questa volta mi vidi ai piedi, a gran distanza però, dei lumi mobili che rischiaravano con una luce incerta profili umani.

Di quando in quando salivano, uniti all'atmosfera malsana e soffocante, gemiti spezzati da singhiozzi, e a volta a volta, sparendo i lumi, per quella via ascendente i lamenti riempivano le tenebre.
State a sentire che cosa dicono quei poveri carusi, salendo il loro eterno Calvario, poiché essi scendono venti volte in fondo alla miniera e salgono carichi di immensi pezzi di zolfo; erano arrivati al penultimo viaggio ed essendo domenica, il lavoro finiva a mezzogiorno:
E stu viaggiu cci lu vaju a’ ppizu :
A la vinuta, li robbi ed un tozzu !
“ Faccio questo viaggio, quando risalgo riprenderò le mie vesti e un boccon di pane”
Intanto i gemiti e i singhiozzi continuavano....
Se fossi sceso in quell'ipogeo, se mi fossi internato, in fondo alla miniera, nelle viscere del suolo maledetto, avrei udito il picconiere che stacca i pezzi di zolfo col piccone, esclamare con indicibile disperazione: " Sia maledetta la madre che mi partorì!... Maledetto il prete che mi battezzò!... Sarebbe stato meglio che Cristo mi avesse fatto nascere maiale; almeno, alla fine dell' anno, mi avrebbero scannato!...
Quel disgraziato lavora continuamente nudo, con 40 gradi di calore, in una atmosfera satura di esalazioni malsane; esso smette ogni tanto il faticoso lavoro e con una rasiera di legno, si leva il sudore che gli gocciola dalle braccia, dal petto e dalle gambe. Spesso s'insinua e si perde in gallerie tortuose e basse, nelle quali non può entrare e uscirne che strisciando carponi per terra. Là, nel silenzio di quell'atmosfera ardente, non si odono che i colpi accaniti del suo piccone contro le pareti, il suo respiro affannoso, o meglio il suo rantolo e poi.... imprecazioni e bestemmie. A un tratto si ferma ed offre al Signore il penoso lavoro in sconto dei propri peccati; poco dopo è preso da una tetra disperazione e lo maledice....
Quando il picconiere grondante di sudore beve, dice: " Bevo la morte.” Quando ha mangiato aggiunge: “ Eccomi avvelenato.” Espressioni di profondo dolore, perché col mangiare e col bere egli si tiene in vita, e la vita è per lui un veleno mortale!...
Quanti dolorosi pensieri m'assalivano su quella terra livida, davanti la fosca apertura in fondo a cui s'agitava tutto un mondo di disgraziati. Sotto quello stesso suolo era avvenuta poco tempo prima un'esplosione di grisù e un gran numero di minatori vi erano morti. Quell'aria carica di vapori solforosi, la quale, con la sua azione corrosiva distrugge ogni vegetazione nei monti circostanti, e la desolazione della natura su cui pesava quel giorno un cielo minaccioso, contribuivano assai ad aggravare la mia tristezza.
Se l'azione dei vapori solforosi è deleteria per i vegetali, per gli uomini dev'essere micidiale! Ed infatti i minatori delle solfatare offrono i sintomi d' una decadenza precoce; perdono presto i denti e i capelli, divengono asmatici e restano indeboliti dai continui e abbondanti sudori.
L'epidemie ne fanno strage e i cambiamenti di temperatura sono funesti per loro; la mortalità in questo luogo è spaventevole. E dire che quei dannati sono nostri simili, nostri fratelli!... Che cosa sono diventate laggiù, in quella terra della fede primitiva, le belle massime di Cristo che i preti insegnano continuamente? ” Tutti gli uomini sono fratelli, amatevi scambievolmente.”
In Sicilia sono sorti degli uomini generosi con quelle ammirabili massime sulle labbra, col pensiero d'aiutare i contadini oppressi, morenti e morti di fame e i minatori condannati a morire………. Intanto i carusi uscirono finalmente dalle viscere della terra; venivano fuori ad uno ad uno dall'antro tenebroso, insieme con delle zaffate puzzolenti. Essi dicevano:
" Torniamo a riveder le stelle.” Così esclamava anche Dante all'uscio dall'inferno: “E quindi uscimmo a riveder le stelle.” Si avanzavano un dopo l'altro, barcollando sotto gli enormi pesi, seminudi, grondanti di sudore, ansimanti e sparuti; erano ragazzi e giovanotti, ma io non avrei potuto indovinare la loro età, perché tutti parevano giovani e vecchi al tempo stesso.
In quei visi si leggeva un'espressione di malinconia selvaggia, da me non mai scorta prima in nessuna faccia umana, e i loro occhi smarriti parevano uscir dalle orbite. Alla fine si riposavano, appoggiavano il carico al muro, sbuffavano rumorosamente e poi andavano a gettare i pezzi di zolfo in un dato luogo.
I più piccini, i ragazzi, sbarazzati dei loro fardelli, tutti contenti di riveder la luce, incuranti de' propri mali e dimentichi delle lagrime sparse, sgambettavano, o intingevano un boccon di pane duro nell'olio della lampada e lo rosicchiavano avidamente; poi andavano a cavarsi la sete sotto i ginisi, resti di zolfo in fusione.
La maggior parte di loro erano pallidi e magri con le palpebre rosse per l'azione corrosiva dei vapori solforosi e per il piangere; alcuni avevano il collo torto. Il loro corpo deforme riposava su esili gambe dai ginocchi smisuratamente grossi; avevano le carni flosce e l'andatura incerta, a molti, già curvi, si vedeva una piccola gobba sulla spalla sinistra, marchio indelebile del triste mestiere.
Quella vita in un'atmosfera corrotta, la mancanza di nutrimento, lo sforzo continuo sotto carichi pesanti, producono presto alterazioni profonde nella salute di quei poveri ragazzi.
Venendo su, in quella scuola di dolore, diventano d'animo cupo, e l'intelligenza, le buone disposizioni e il cuore si spengono presto in loro. Crescono cattivi, perché considerano la vita come un ingiusto castigo, e con ciò non possiamo meravigliarci se i minatori delle solfatare aumentano sempre in Sicilia il contingente dei malfattori !
Soccombono giovani, e già vecchi decrepiti, rifiniti non solo dall'eccessivo lavoro, ma anche avvelenati da gas deleteri, stupisce il non vedere neppure un vecchio in quelle miniere, e le donne vi sono tutte sterili.
...Allorché ci avviammo verso Caltanisetta era già tardi, e mentre si faceva la salita io rivolsi un ultimo sguardo a quel luogo maledetto dove avevo vissuto un giorno. Gli innumerevoli calcaroni, coni di zolfo preparati per fondere, fumavano lievemente, spandendo per l'aria il vapore pestilenziale che uccide uomini e vegetali.
La giornata era finita e il doloroso branco dei carusi se ne veniva su dalle profondità per ridursi a casa. I poveri piccini, venduti dalle famiglie indigenti, non potevano sperar nessuna amorevolezza, nessuna gioia nel domestico focolare. Nella catapecchia dove andavano, non avrebbero trovato altro che una scodella di minestra di fave o di paste, ed un canile per riposare le ossa fiaccate dal gran lavoro. E domani?... La morte improvvisa per causa dell'idrogeno sulfureo o per un'esplosione di grisù li libererebbe forse.... o pure la vita seguiterà ad esser per loro una lenta agonia!...
I nuvoloni enormi, minacciosi correvano ancora in silenzio nelle solitudini dello spazio; i dorsi oscuri dei monti lontani si inerpicavano verso il fosco orizzonte e la maledetta terra delle solfatare mostrava la sua lividura di piaga morbosa sotto il cielo di piombo.

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