venerdì 5 giugno 2009

Post 3 SAN MICHELE IN CASTIGO. (Gastone Vuillier 1895)

Quantunque non piovesse più dalle prime ore del mattino, il cielo era oscuro e l'aria pesante. Incontrammo per via molta gente che andava a far visita a San Michele messo in castigo in quella chiesa per averla lasciato troppo correre senza far piovere. La pioggia della notte e il tempo ancora minaccioso avevano rabbonito gli animi della popolazione che, per incoraggiare meglio il Santo in quelle buone disposizioni, si proponeva di riportarlo solennemente nella cattedrale il suo posto consueto.
Vedemmo pochissimi preti per la strada, ma in compenso una gran quantità di donne vestite tutte di nero e di frati cappuccini. Uno di questi si avanzava solo solo ed aveva un aspetto selvaggio. Allorché ci fu vicino, un raggio di sole inerente l'illuminò all'improvviso d'una luce sanguigna, mentre la sua ombra prendeva grandi proporzioni e formava in terra una specie di croce! Dietro a quella figura strana si prolungava misterioso, come una tenebrosa decorazione, lo spazio dalle grandi linee montuose. La visione sparve tosto, evocando in me il ricordo di quei monaci guerrieri che attraversarono il medio evo.Quando arrivammo alla chiesa dei Cappuccini, un uomo, ritto sulla gradinata, davanti alla porta maggiore, suonava il tamburo per chiamare i fedeli a pregare ancora San Michele sebbene fosse in castigo.
Il Santo era sopra l'altare, ma al buio; generalmente in questa stagione esso è in villeggiatura in una cappella della campagna circostante. Gli avevano tolto dalle spalle il bel mantello di velluto rosso e le ali d'oro, non impugnava più la spada sfolgorante; ma se ne stava lassù, mogio mogio, con le ali di cartone, un vecchio tabarro scozzese sul dorso e una semplice lancia in mano.
Nonostante ciò, San Michele è tenuto in grande venerazione a Caltanissetta poiché il popolo gli è riconoscente d'aver scacciata, un tempo, una pestilenza che minacciava d'entrare nella città per distruggerla Secondo la credenza popolare siciliana le epidemie sono mandate dall'estero, o sparse nelle città e nei villaggi da gente di mal animo. Fino a Palermo ci sono state delle sommosse in tempo d'epidemia, perché il municipio faceva gettare del cloruro di calce agli angoli delle vie per disinfettarle. Dicevano che il governo, considerato sempre come un nemico, seminava in quel modo la malattia. Verso il 1837, quello stesso San Michele scacciò il colera da Caltanisetta e in segno di riconoscenza gli venne eretta una cappella; ma allorché questa fu terminata, s'accorsero che non avevano una statua del Santo per collocarla entro la nicchia che gli avevano preparata.
La città fu sottosopra; come fare? Alcune persone, le più furbe del paese, seppero che in una casa, la casa Moncada, c'era un angelo custode, disoccupato, e che cosa fanno? Lo prendono, zitte e chete, lo ridipingono, gli appiccicano sulle spalle un par d'ali dorate, lo coprono con un bel mantello, gli pongono in mano una spada sfolgorante, ed ecco fatto un perfetto San Michele.
Siccome col tempo s'era un po' sciupato, fu nuovamente dipinto e in questa occasione fu osservato, sul dorso del Santo, uno scritto nel quale si faceva il racconto della sua trasformazione, da angelo custode in san Michele Arcangelo, scritto debitamente, datato e firmato, dal signor X.... assessore!...
Oltre San Michele vi è una Madonna molto venerata. a Caltanisetta, la Madonna degli Angeli, protettrice speciale delle fave. In certi tempi dell'anno, la portano in processione per le strade e per i campi attaccandole al collo e alle mani delle fave e delle spighe, perché la sua protezione si estenda, un poco, anche a tutte le altre messi.
L'ombra era scesa su tutte le cose, quando tornammo dalla chiesa dei Cappuccini; salutai l'ingegnere che doveva accompagnarmi il giorno, dopo alle vicine solfatare.
E’ piovuto tutta la notte e quando ci mettiamo in cammino il cielo minaccia ancora pioggia. Ci troviamo presto in aperta campagna, sul fianco d'un monte crivellato d'aperture fatte dalla povera gente che ebbe il permesso di scavarsi delle abitazioni sotterranee pagando al municipio un fitto di 15 lire l'anno.
Era pagato caro davvero il diritto di scavarsi una tana! Ed anche tane poco sicure, perché ben presto vi restarono seppellite, sotto le frane, famiglie intere. Nonostante il pericolo, alcune di queste grotte sono ancora abitate e noi udimmo passando una specie di ronzio infantile uscire da quell'alveare umano. Le erte che abbiamo intorno sono selvose, ma in lontananza si vede una gran fila di montagne brulle, solcate da burroni. Su due vette gemelle si intravedono come due immani fortezze, Castrogiovanni, I’antica Enna, e Calascibetta.
Cambiamo un momento strada per visitare dei vulcanelli di fango.

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